Un ritorno alle origini, il teatro, che per Sara Lazzaro è un luogo sacro in cui, come ci racconta qualche riga più sotto, ancora una volta si sta riscoprendo. Dopo anni di successi in serie tv come The Young Pope, Volevo fare la rockstar, DOC nelle tue mani, Braccialetti rossi, Call My Agent e La legge di Lydia Poët e cinematografici come The Young Messiah e 18 regali sta riportando in scena (dopo la tournée dell’anno scorso) Marianna in Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman con la regia di Raphael Tobia Vogel. (per info qui)
Un capitolo di successo che scandisce una nuova fase della sua carriera che si muove tra televisione, cinema e teatro in un moto costante di sperimentazione e crescita.
Sara Lazzaro ci racconta la sua esperienza teatrale con le parole e il tono di chi ama profondamente il suo lavoro, un’attrice che ha saputo fare scelte mai scontate, regalando interpretazioni eccezionali a personaggi molto amati dal pubblico.
Scene da un matrimonio di Bergman è da poco tornato a teatro, nuova stagione nuova avventura? Ci racconti com’è cominciata?
Quando sono stata coinvolta in questo progetto era da un po’ di anni che mancavo dal teatro e avevo molta voglia di ricominciare, mi hanno contattata poco dopo il mio compleanno ed è stato come se un po’ l’universo avesse ascoltato quel mio desiderio.
Quali sono state le tue prime reazioni quando ti hanno proposto il ruolo di Marianna?
Per me è stato come guardare l’Everest da distante, ma la cosa fantastica è che sapevo che l’avrei fatto con Fausto Cabra che, oltre ad essere un attore di teatro straordinario, è anche mio grande amico e credo che questo aiuti molto soprattutto con un testo come questo. Scena da un matrimonio di Bergman è un testo che da sempre, da quando è uscito negli anni 70, ha avuto un grande riverbero dal punto di vista sociale e artistico. C’è stato anche l’adattamento nella miniserie con Jessica Chastain e Oscar Isaac del 2021, molto interessante perché hanno invertito i ruoli, nel senso lei aveva la storyline di Giovanni e invece lui aveva la storyline di Mariana, molto complesso… È un testo veramente incredibile, Bergman è un genio – lo sappiamo tutti da sempre – però è pazzesco come questa storia che parla di per sé di matrimonio in realtà parli di rapporti umani, di relazioni, dell’anatomia di una coppia, una specie di radiografia senza risparmiarci nulla, nemmeno la brutalità. Un altro aspetto incredibile è se pensi che quando è uscito il film negli anni 70 la percentuale di divorzi in Svezia è aumenta quasi al 60-70%, quindi capisci che impatto ha avuto
Insieme al regista Raphael Tobia Vogel che ci ha diretto in questo viaggio abbiamo scoperto quanto questo testo fosse ancora contemporaneo, come se fosse quasi appunto un testo universale di coppia, di dinamiche. Non c’è un buono e un cattivo, è molto paritario anche nella sofferenza.
Il teatro Franco Parenti, dopo il debutto a marzo, ha organizzato una lezione sull’amore di coppia tenuta da Massimo Recalcati, proprio analizzando il testo di Bergman quindi è veramente un testo che secondo me racchiude in sé queste dinamiche, in queste migliaia di sfumature.
Hai ripreso a inizio anno, hai trovato una nuova Marianna?
Sì, è un testo in continuo movimento quindi ora che abbiamo ripreso ad andare in scena ci stiamo rendendo conto che stiamo esplorando cose nuove, stiamo avendo un rapporto nuovo. Sento che rispetto a marzo io sono una persona cambiata, ho attraversato delle cose e quindi sento che sto facendo il testo con un’altra prospettiva.
Come vivi la preparazione di un personaggio teatrale rispetto a quello di una serie tv?
Sono due percorsi belli ed affascinanti per motivi differenti. Diciamo che nell’audiovisivo spesso la preparazione del personaggio può avvenire con un dialogo con il regista ma difficilmente avvengono lunghe sessioni di prove, non sempre c’è quel lusso. Una cosa che mi mancava tanto era il fatto di tornare ad avere un tempo più organico delle cose, quindi il fatto di passare otto ore al giorno in una sala prove assieme ad altri colleghi, ad altri esseri umani e proprio provare, sperimentare, capire in modo empirico man mano i passaggi e le sfumature del testo, quindi avere il tempo di creare insieme un personaggio, una storia. Difficilmente le cose che giro nell’audiovisivo sono fatte cronologicamente mentre a teatro quell’esperienza la vivi dall’inizio alla fine, la attraversi. A teatro c’è qualcosa di sacrale.
E tecnicamente è stata dura?
Diciamo che ho dovuto combattere con qualche mostro nella testa che cercava di scoraggiarmi. Il testo è di 60 pagine per due ore e mezza sul palco, sei scene, cinque cambi scena e quattro cambi costume. Una parte di me diceva “non ce la farai”. Vengono ogni tanto questi dubbi, no? Ammetto che esserci riuscita mi ha reso felice e appagata, mi ha fatto scoprire una parte di me che non credevo di conoscere.
C’è un progetto di cui puoi parlare ancora poco ma che arriverà molto presto…
È un altro progetto apparso all’improvviso e che mi ha davvero arricchito, probabilmente un’altra risposta dall’universo. Si tratta di un film per la tv tratto dal libro di Egea Haffner ‘La bambina con la valigia’. L’autrice è la reale sopravvissuta e racconta il suo viaggio con la famiglia per ricominciare una nuova vita altrove. Io non posso dire ancora molto, ma posso dirti che c’è stato anche un making of molto bello, ho trovato dei colleghi estremamente generosi, anche il regista Gianluca Mazzella con cui è nato un incontro artistico bellissimo. Mi capita spesso di girare in Friuli Venezia Giulia, anche con Volevo fare la rockstar e ho conosciuto molti professionisti che ho ritrovato in questo film, quindi c’era un bellissimo ambiente di lavoro. Raccontare storie vere è un privilegio e c’è anche una grossa responsabilità, devi saperti toglierei le scarpe quando entri in un luogo così intimo e privato. La produzione è finita a novembre e sono molto contenta che vedrà la luce già così presto.
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